Irène Némirovsky, I doni della vita. Adelphi.
Se ci fosse una lista dei libri da leggere almeno una volta nella vita, penso che questo libro dovrebbe esserci. Per fortuna, non c’è una lista di questo tipo, ma I doni della vita rimane un testo fondamentale per la riflessione sul tempo che ci è dato di vivere, sull’amore e sulla famiglia.
La trama ripercorre trent’anni di storia della famiglia Hardelot, dalla prima guerra mondiale ai primi anni della seconda. Tutto ha inizio da un tradimento: qualcuno ha sorpreso Pierre Hardelot e Agnés Florent nel bosco della Coudre, ma Pierre è fidanzato ufficialmente con la ricca Simone e questi incontri sono già motivo di scandalo. Pierre ammette di essere innamorato di Agnés e decide di sposarla, sfidando la contrarietà dei genitori e il veto posto dal nonno, patriarca della famiglia e proprietario delle Cartiere Hardelot. Oltre ogni aspettativa, il loro sarà un matrimonio forte e stabile, capace di sopravvivere all’orrore delle guerre e alle prove della vita. Pierre e Agnés hanno saputo riporre nel granaio i doni della vita per raccoglierne i frutti.
Un libro di sconcertante attualità
I doni della vita può essere senz’altro definito un classico, anche se le opere di Irène Némirovsky solo recentemente sono state conosciute in Italia. Dobbiamo ad Adelphi la pubblicazione di tutto il catalogo della scrittrice, a partire dal 2005. Tuttavia alcuni elementi del romanzo lo rendono di grande attualità, come se fosse stato scritto in questi ultimi giorni.
Mentre scrivo queste righe vedo scorrere le immagini televisive della guerra in Ucraina. Immagini che richiamano i bombardamenti descritti nel libro e il lungo peregrinare dei profughi in fuga dalle città in fiamme. La guerra domina le pagine de I doni della vita, la cui trama è attraversata da due guerre mondiali.
La forza delle donne
C’è, inoltre, un altro aspetto che rende il romanzo attuale, ed è la forza delle donne, che supera gli stereotipi contemporanei. Così vale per Agnés, sicura di sé e forte nella solidarietà, ma anche per Simone, abile donna d’affari costretta a nascondere le sue capacità dietro al marito, finché la morte di questo non la spinge ad uscire allo scoperto e a prendere in mano le redini dell’azienda. E poi la vedova Florent, stratega artefice del matrimonio di Pierre e Agnés. Sono le donne il motore della buona storia, mentre gli uomini portano spesso con sé guerra e distruzione. Oppure, gli uomini sono ostinati difensori di valori superati, come il nonno Julien Hardelot, fedele ad un modello di patriarcato che scompare con lui. Non tutti però sono figure negative: non Pierre, non lui, e neppure Charles, morto mentre prega di poter dire basta alla guerra:
Ho vissuto abbastanza. Non capisco niente del mondo in cui stiamo per entrare. Pierre ha detto che questa guerra non sarà l’ultima, come abbiamo sempre creduto, ma la prima di una lunga serie di guerre più implacabili, più atroci. Guerre e rivoluzioni. Sangue e ancora sangue. Basta! Per me, almeno, basta.
Come vorremmo poter dire anche noi, oggi, “Basta!”.
Una pubblicazione anonima
Il romanzo fu pubblicato a puntate nella rivista Gringoire nel 1941. Irène non poté firmare la pubblicazione: lei e il marito portavano già la stella gialla appuntata sul cappotto. Erano ebrei. La lettura risente di questa pubblicazione a puntate: ogni capitolo è fortemente contrassegnato come l’inizio di un nuovo episodio. Fu solo nel 1947 che l’amico editore Albin Michel decise di pubblicarlo nella sua interezza. Ma l’autrice non poté assistere alla pubblicazione, perché era morta da cinque anni, poco dopo la sua deportazione ad Auschwitz. Finiva così l’esistenza di una grande scrittrice vittima degli orrori della storia.