Un romanzo che vi consiglio di leggere ASSOLUTAMENTE è Fiore di roccia (Ilaria Tuti, Longanesi 2020). L’ho letto tutto d’un fiato (e anche con un accenno di lacrimuccia) immedesimandomi in ciascuna delle protagoniste: le portatrici carniche, donne che, durante la prima guerra mondiale, caricavano di rifornimenti le loro gerle per portarle in cima ai monti, ai soldati impegnati al fronte. Non è una cronaca o un saggio di storia: è un romanzo che palpita di vita e dove ogni riga è scolpita sulla forte personalità delle donne carniche (le friulane non si lasciano intimorire da nulla, così si mormora…). Lo stile con cui Ilaria Tuti affronta la storia ha in sé qualcosa di sacro e di sicuro i personaggi maschili non lasciano indifferenti: come si fa, leggendo del sacrificio di una generazione massacrata dalla guerra? Ma le donne sono le vere protagoniste di questo monumento letterario alla loro memoria:
Riempiamo le nostre gerle fino a farle traboccare di viveri, medicinali, munizioni, e ci avviamo lungo gli antichi sentieri della fienagione. Risaliamo per ore, nella neve che arriva fino alle ginocchia, per raggiungere il fronte. Il nemico, con i suoi cecchini – diavoli bianchi, li chiamano – ci tiene sotto tiro. Ma noi cantiamo e preghiamo, mentre ci arrampichiamo con gli scarpetz ai piedi. Ci aggrappiamo agli speroni con tutte le nostre forze, proprio come fanno le stelle alpine, i «fiori di roccia». Ho visto il coraggio di un capitano costretto a prendere le decisioni più difficili. Ho conosciuto l’eroismo di un medico che, senza sosta, fa quel che può per salvare vite. I soldati ci hanno dato un nome, come se fossimo un vero corpo militare: siamo Portatrici, ma ciò che trasportiamo non è soltanto vita. Dall’inferno del fronte alpino noi scendiamo con le gerle svuotate e le mani strette alle barelle che ospitano i feriti da curare, o i morti che noi stesse dovremo seppellire.
Ilaria Tuti si conferma, perciò, scrittrice di donne: il romanzo che l’ha resa famosa, infatti, – il thriller Fiori sopra l’inferno (Longanesi, 2018) – ci ha regalato un grande personaggio femminile: Teresa Battaglia, commissario e profiler ormai alle soglie della pensione, poliziotta esperta e dotata di intuito infallibile per la soluzione dei casi. Teresa ha un carattere ruvido e tenero allo stesso tempo, forte come la roccia delle montagne di Travenì, il paese dove è ambientato il delitto, ma anche terribilmente fragile come lo è il suo fisico, ormai minato dagli anni, dal dolore e da una malattia oscura che si sta impadronendo della sua mente.
Guerriera … una poliziotta, forse. Una donna di sessant’anni, malata, che cerca di fare l’eroina e invece non è nemmeno più capace di dare un nome alle cose. .. Persino il proprio nome è intaccato dal dubbio, come quello dell’assassino.
Teresa Battaglia e le sue indagini ritornano in Ninfa dormiente (Longanesi, 2019). Anche in questo caso, la storia è ambientata in Friuli, tra i boschi e le montagne familiari all’autrice. L’intera squadra è al lavoro per un omicidio che risale a molti anni addietro, un cold case, ma spicca tra tutti il fiero e arcigno commissario dai capelli rossi e dalla silhouette “morbida”: Teresa Battaglia. Teresa non ha vissuto la gioia di essere madre “di pancia”, come si usa dire, ma è madre di cuore per tutti gli agenti della sua squadra: per loro darebbe la vita, in particolare per il giovane e talora inesperto Massimo Marini, oggetto privilegiato dei suoi accessi di collera più furiosi.
E poi c’è lui, che la guarda come il figlio che Teresa non ha mai avuto. Il suo nome è ancora soltanto l’istinto di un sussurro sulle labbra, ma un impulso viscerale la lega a quell’uomo. Teresa lo percepisce nella pancia, è bruciore su una cicatrice, schiuma rossa che ribolle nelle vene.
Ilaria Tuti ha dichiarato di aver dedicato a Teresa Battaglia una trilogia. Nel frattempo, dopo il secondo romanzo, si è “concessa” una digressione dal genere thriller per rivolgersi alla Grande Storia. Aspettiamo perciò il prossimo romanzo che sarà, senza dubbio, nel segno delle donne!
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