Se l’acqua ride, di Paolo Malaguti. Einaudi, 2020
Quando senti che l’acqua ride che gorgoglia, vuol dire che lì c’è una piera, o il fondo basso, e bisogna starci alla larga. Se la’cqua ride, il burcio piange!
1965, Ganbeto frequenta ancora la scuola, nel suo paese in riva la fiume. Ma d’estate dà un mano al nonno e al papà sulla Teresina, il burcio del nonno che attraversa i fiumi, dalla provincia di Padova e giù, fino a Venezia, oppure su, fino a Trieste. Il burcio, la classica imbarcazione veneta da carico per la navigazione interna, in quegli anni non aveva un motore: due grandi alberi , per trasportare merci e materiali.
Ma sarà l’estate del ’66 a celebrare l’ingresso ufficiale di Ganbeto nel mondo della navigazione, quando diventa il mozzo della Teresina. Suo padre, invece, ha scelto una strada diversa. Il mondo cambia e, per guadagnarsi da vivere, ormai molti lasciano il lavoro sui campi o la vita da barcaro per entrare in fabbrica a fare l’operaio. Anche suo padre ha dovuto fare questa scelta.
Quella di Ganbeto sarà un’estate epica, piena di avventure e di nuove esperienze: l’estate della sua iniziazione al mondo degli adulti. Ma sarà anche l’estate della sua amicizia con il nonno, l’ostinato barcaro Caronte che, severo e demoniaco, come il personaggio di cui porta il nome, lo lascia per affrontare da solo la sua sfida infernale: l’acqua granda del 1966.
Paolo Malaguti ci offre, ancora una volta, una grande prova di scrittura. In questo romanzo si diverte a giocare con la parlata Veneta e con i colori dell’acqua e dei mille paesaggi che vi si affacciano. Leggendo, mi sembrava di vivere insieme a Ganbeto i ricordi della scuola, dei compagni e del maestro burbero, delle riunioni in famiglia, dei giochi sui campi e dei primi amori. C’è, nelle prime pagine, un meraviglioso omaggio al maestro Luigi Meneghello e al suo raccontare i turbamenti dell’età in equilibrio tra innocenza infantile, curiosità e adolescenti “atti impuri”. Eppure, il personaggio che più mi è rimasto nel cuore è Caronte, nocchiero fiero e indomito, piegato non dall’acqua o dai fortunali, ma dall’avvento della modernità, che ha abbandonato il lento andare del burcio sul fiume per la velocità del motore.