Paolo Malaguti, Il Moro della cima. Einaudi 2022.
Il Moro non si è sempre chiamato così. All’anagrafe è Agostino Faccin e non è sempre vissuto tra le montagne. La sua è una famiglia di contadini legata alla terra e al lavoro dei campi. Ma il Moro sente un’irresistibile attrazione per la montagna, fin da bambino, fin da quando lo mandano ad aiutare Menico, nella malga. La prima volta sulla cima è un’esperienza senza ritorno: lassù, sul monte Grappa, tutto è diverso e, per la prima volta nella vita, prova una strana forma di frenesia, cui sulle prime non sa dare un nome…
ma poi il nome gli saltò in testa come un grillo, e iniziò a ribollirgli tra le tempie. Libertà.
Qualche anno ancora e poi, là, sulla cima, si consumerà la “porcaria”. Il club alpino bassanese inizia a costruire un rifugio, una prima ferita sulla vetta immacolata. Eppure, quel rifugio cambierà la vita del Moro perché è proprio a lui che viene affidato il compito di custodirlo, accompagnando alla custodia anche l’impegno di guida. Così, tra il lavoro di oste e quella di guida sulla Grappa, Agostino diventa la figura leggendaria che conosciamo, il Moro della Cima.
Peccato che la storia riservi a lui e all’umanità una delle ferite più dolorose. La prima guerra mondiale sembra quasi crescere un po’ alla volta sotto gli occhi del Moro: uomini che lavorano alacremente per costruire fortezze, di qua e di là dalla montagna. Cannoni che, in un clima di incertezza, danno voce ad un’unica verità: i cannoni sono fatti per sparare e non esistono armamenti per la pace. Alla fine, ci sarà la guerra.
I cannoni sono fatti per sparare
La seconda parte del romanzo dipinge l’amaro scenario della guerra, in tutta la sua potenza drammatica. Se il Moro è un personaggio epico, uscito dalla penna di Malaguti con la stessa narrativa sacralità di una figura omerica, la guerra è, invece, una lacerazione cancerosa, un male incurabile che distrugge la perfezione del mondo e la maestà incontaminata della montagna.
Dalla malattia nascono i mostri: soldati dallo sguardo fisso e le guance rigate; morti senza nome le cui ossa, sparse sulla cima, vengono traslate più volte prima di giungere al sacrario come militi ignoti; fantasmi che sono i reduci senza il conforto di una casa, perché la mutilazione o la solitudine li respingono ai margini della società, costringendoli a tornare nei luoghi della battaglia, senza speranza di trovare la vita.
La storia e la sfilata dei suoi protagonisti
L’intera storia del primo novecento passa davanti agli occhi del Moro, e anche i suoi personaggi più illustri: il papa Sarto, Vittorio Emanuele, il generale “Firmato” Cadorna e il poeta vate, Gabriele D’Annunzio. Ai grandi della terra, il Moro riserva una sua personale vendetta (un mistero anche per il lettore, fino alle ultime pagine) per il male che hanno provocato agli uomini e alla montagna.
Il moro della cima è un romanzo contemporaneo che ci restituisce i colori della storia attraverso la narrazione saggia e a volte ironica del Moro. Agostino Faccin, Il Moro Frun, è un personaggio realmente esistito, di cui Malaguti ha ricostruito la vita anche grazie ai documenti conservati dalla nipote. L’altra protagonista è la montagna, la Grappa, dalle cui alte cime sembrano polvere le vicende dell’umanità.
Troppo bello questo romanzo per lasciarselo scappare: leggerlo è come fare un esame al nostro DNA e scoprire le tenere fragilità dell’essere umani. Buona lettura!